L’orrore. 

  
L’altroieri sera, guardandomi allo specchio, ho constatato le mie già da tempo onnipresenti e marcate occhiaie.Ci conosciamo bene e non abbiamo niente da nasconderci noi due, sono almeno 10 anni che la nostra convivenza continua tranquilla e con reciproca, seppur non proprio pacifica, accettazione. 
Ho capito, peró, che c’era qualcosa di strano questa volta. vedevo che volevano nascondermi dell’altro. Ma non mi faccio ingannare, io.
Mi sono avvicinata allo specchio, ho tolto gli occhiali, e ho scrutato un po’ di piú e un po’ meglio. Si sa che gli occhiali sono degli ottimi alleati per nascondere insospettabili imperfezioni (per chi li ha: provate a fare il test di toglierli con chi raramente vi vede senza, sarà divertente, e spaventoso. Ma soprattutto divertente, lo prometto).
Pochi secondi e ho sentito il mio cuore perdere un colpo, ho avuto un mancamento. 
Segni. Sotto gli occhi. Segni strani e brutti che prima non c’erano.
Rughe. 
Ragazzi, lo giuro, erano proprio loro, erano RUGHE. Maledette, abominevoli, tremende, oscene rughe.
L’orrore. 
In quel momento ho deglutito: trattieni il pianto, Chiara, andrà tutto bene.
MA NO! NON ANDRÀ TUTTO BENE! COME FA AD ANDARE TUTTO BENE? HO LE RUGHE SOTTO GLI OCCHI, MALEDIZIONE, LE RUGHE! 
Io! con il mio faccino angelico e liscio come un cul di bimbo! 
Come faró adesso ad ingannare le persone facendo pensare a tutti che ho meno di 18 anni? 
Nessuno mi scambierà piú per un’adolescente, non potró piú mentire ai venditori sulla presenza o meno dei miei genitori in casa, scrollandomi di dosso la responsabilità di cacciarli adducendo fantasiose giustificazioni. 
Lo sapevo. Me lo avevano detto che sarebbe arrivato il tracollo a 30 anni. E io pensavo di averci già fatto pace con questa cosa, di essere già preparata.
Ma alle rughe no. A quelle non ero affatto preparata. Ero certa che almeno loro ci avrebbero messo ancora un bel po’ ad arrivare, perse sulla via del mascheramento dell’età. 
Non avrei dovuto prendere con leggerezza i bagordi della gioventú. Non avrei dovuto ignorare il fatto che le notti insonni di studio al liceo, le serate infrasettimanali di ubriachezza molesta dei miei 20 anni, le lunghissime e infinite giornate di studio, lavoro e feste, che terminavano in un paio di ore scarse di sonno per poi ricominciare daccapo, avrebbero avuto delle serie e pesanti ripercussioni. Non avrei dovuto pronunciare la frase sacrilega: “riposeró quando saró morta”. Si sa che ogni incantesimo ha un prezzo da pagare. 
Ok, forza, non possiamo farci trascinare a terra da questa cretinata. No, non è una cretinata. Ma non possiamo farci trascinare a terra comunque. 
E quindi ho fatto un respiro profondo, ho chiuso gli occhi, li ho riaperti e ho trovato una soluzione. Una soluzione chiara, precisa, senza mezzi termini e senza paura del domani. 
Mi sono girata verso di Lui, l’ho guardato in maniera molto seria e ho annunciato: Amore, devo comprare una crema per il contorno occhi. 

Lumos!

proud to be a gryffindor

ci sono cose che, crescendo, si imparano di sé stessi.
ora, ok, probabilmente io sono anche troppo ossessionata dal fatto che tra poco compirò 30 anni ma, insomma.
per me farne 18 non ha mai significato nulla.
a 18 anni non sai un cavolo della vita. e non puoi renderti conto di quali siano davvero le tue ambizioni, i tuoi desideri, le tue aspettative. a meno che tu non ci sia davvero nato.
quando ho fatto 18 anni semplicemente non li volevo fare.
le giustificazioni a scuola me le firmavo già da sola (eh, sì, dai. ditemi chi di voi non l’ha mai fatto) e sapevo solo che le mie responsabilità avrebbero cominciato a crescere sempre di più.
oggi mi sento esattamente come prima del compleanno dei 18. nemmeno adesso voglio farne 30. la differenza è che sono molto più vecchia (anche mentalmente), che ho effettivamente molte più responsabilità, ho imparato un sacco di cose e che un sacco di aspettative sono state deluse, un sacco di ambizioni sono ancora in stand-by e un sacco di desideri aspettano di essere realizzati, ancora.
dunque, tra una settimana esatta compirò 30 e continuo ad esserne completamente terrorizzata.
so bene che il giorno dopo il mio compleanno sarò sempre la stessa e non avrò niente di diverso, però iniziare la trentina senza aver realizzato quasi nessuno di tutti i miei sogni è, beh, un po’ deprimente.
ma lo dico sempre: le cose belle accadono a chi è propositivo. io continuerò ad essere propositiva, per tutto il resto della mia esistenza.
fatta la dovuta introduzione, volevo solo dire che, anche se ho -quasi- 30 anni, anche se sono ufficialmente adulta, anche se sono cambiate un sacco di cose dalla mia adolescenza e anche se sono una persona brutta e disillusa, ci sono cose di me che non cambieranno mai. come la mia goffaggine, o il mio inguaribile romanticismo, la mia nerditudine aggravata e alcune delle mie passioni.
ci sono giorni in cui mi sveglio, mi guardo allo specchio, e vedo che la mia fissazione per Harry Potter non cambierà di una virgola, né ora, né mai.
cosa c’entra coi 30? c’entra.
perché uno pensa che certe cose le amino solo i bambini. o forse gli adolescenti. ma giuro che non è affatto così. per alcuni di noi, almeno.
in questo periodo, poi, in cui iniziano a cadere le foglie e il mio cuore diventa più debole, comincio a percepirne la nostalgia molto di più che in tutto il resto dell’anno. mi dedico più spesso a fottermi il cervello con i meme a tema che trovo su internet, le citazioni dal libro, le gif animate, e si avvicina anche il momento il cui mi rimetterò a vedere la saga, in ordine, dal primo film all’ultimo, come se li stessi guardando per la prima volta.
Harry Potter è una di quelle cose che, se hai la fortuna di amare, ti entra dentro e ti accompagna per sempre.
non credevo davvero che l’esistenza di una cosa simile fosse possibile.
non so davvero come spiegarlo meglio.
forse con un esempio. l’altroieri ho trovato un montaggio in cui si vedevano tutte le evoluzioni dei personaggi, dal primo incontro degli attori al loro ultimo giorno sul set. a un certo punto della visione sono scoppiata a piangere di commozione proprio come se fossi stata parte di quel tutto che ha portato tanta gioia nella vita delle persone. e nel momento in cui J. K. Rowling diceva «remember that Hogwarts will be there to welcome you home, always», ho irrimediabilmente inondato il divano di lacrime, fradiciando ogni cosa.
una piccola parte di me dice che dovrei vergognarmi almeno un po’ di tutto questo. però, vorrei chiedervi, come faccio? come è possibile non farsi assorbire da una storia così meravigliosa da essere in grado di rimanerti dentro, così nel profondo, che non puoi fare a meno di ricordarla a intervalli regolari, praticamente sempre?
Harry Potter è quella cosa che mi ha permesso di comprendere che la magia esiste e che crederci rende la vita migliore. magari non sarò in grado di eseguire un incantesimo e non ho mai volato su una scopa ma, tutti voi che sorridete pensando che questa sia solo una stupidaggine, non siete altro che babbani.
e oggi che manca una settimana ai miei 30, pensando a tutta questa faccenda, non posso far altro che farmi il migliore augurio di cominciare questa nuova parte della mia vita dicendo: giuro solennemente di non avere buone intenzioni.
Nox!

Quello strano capriccio chiamato “Lettura”

     

Dopo aver letto il libro di Bourdain, un libro criminale e figlio di puttana, che mi è comunque piaciuto moltissimo, ero davvero tentata di restare sulla scia dello stesso autore, come facevo da giovine, ma siccome ho molto meno tempo di quando ero giovine, ho deciso che avevo bisogno di cambiare.
A causa della mia bulimia letteraria, poi, stavo leggendo anche un altro libro, di Moore, che mi ero ripromessa di finire. Peró, dato che sono una che non si fa mai i cavoli suoi coi cavoli suoi (coi cavoli degli altri sí, invece, e spesso la cosa non va neanche a mio favore, ma questa è un’altra storia), mi sono ricordata della mia lista dei desideri su Amazon. E quindi spulcia qua e spulcia là, mi imbatto in una cosa che avevo inserito perché il libro lo aveva letto una persona che per me è un’autorità in fatto di letture (davvero non credo di conoscere qualcun altro che riesca a leggere cosí tanto e un po’ la invidio, ma allo stesso tempo rispetto moltissimo la sua opinione), un noir, di un francese, un certo Lemaitre, che pareva affascinante e un altro, una raccolta di racconti di Gaiman, che mi stuzzicava le idee.
È vero che non sono mai ciecamente fiduciosa nei confronti dei fantasy/horror/gotici, anche se so che mi piacciono molto, e non so per quale motivo mi comporto cosí nei loro confronti. Cosí ho deciso di scaricare l’estratto del libro noir e di accantonare Gaiman ancora una volta.
Letto l’estratto del noir, che mi è parso davvero molto figo, non mi sentivo peró ancora del tutto completa per scegliere. Perció sono tornata dall’estratto di Gaiman, scaricato da un po’ e poi accantonato. L’estratto comprende praticamente solo l’introduzione, dove l’autore spiega come ognuna delle storie inserite nel libro sia nata. Giuro che non avevo voglia di spezzettare la lettura coi racconti, ma solo l’introduzione di questo libro mi ha fatta sentire come se fossi al sicuro dentro un caldo abbraccio di coperte, in un freddo e piovoso pomeriggio invernale.
Sarà il caldo, sarà la nostalgia per i giorni in cui si poteva respirare, sarà la mia bizzarra e più o meno recente fissa per la pioggia, ma ho sentito dentro quelle parole proprio quello che stavo cercando da tanto tempo e non trovavo dentro un libro.

Mi sono sentita al sicuro.

E dunque credo proprio che cederó di nuovo alla mia bulimia letteraria, e daró una possibilità al caro Gaiman, per questa volta.  Corro da lui, perché devo sbrigarmi: ho solo un mese per finire tutti i libri che voglio leggere, prima che ricominci il vortice dei miei due lavori e si abbatta nuovamente su di me quella cosa orribile chiamata “mancanza di tempo per fare tutto” coagulata in modo tremendo insieme a quell’altra cosa abominevole chiamata “arrivare alla sera troppo stanca per prendere in mano un libro”. Chiaramente non riusciró mai a finire tutta la lista che mi sono creata nella mente, ma tentare di nutrire ancora un po’ il mio cuore e soprattutto il mio cervello, è un delitto perfetto che voglio gustarmi fino all’ultimo secondo.

Scripta Manent

Ma voi, come vi sentite quando vi rivedete in quelle foto vecchissime di tanti anni fa? 

E non parlo di eoni fa, cioè di quando eravate dei morbidi batuffoli di ciccetta rosa che se aveste potuto, avreste preso e spupazzato per un giorno intero incessantemente spernacchiando senza ritegno culetti e guanciotte.
Parlo delle foto dagli undici anni in su, quando si comincia a diventare dei preadolescenti brufolosi e immuni alla decenza, dalle espressioni che lasciano trapelare fastidiosa idiozia e avreste voluto solo schiaffeggiare dalla mattina alla sera. O delle foto dell’adolescenza che trasudano ormoni (anche se sono solo su carta o su uno schermo), e se ne sente la puzza da 1 km lontano
Io mi vergogno un po’. Mi sento in imbarazzo.
Anche se sono sola e non mi vede nessuno e potenzialmente a nessuno frega una beneamata se io ero brutta e grassa o per niente interessante. 
Mi guardo stampata in quelle immagini e penso: ma davvero ero cosí ridicola? 
Eh. Davvero.
C’è poco da fare. Il tuo passato è l’impronta che hai lasciato di te stesso e, come i gatti che hanno passeggiato nel cemento prima che si asciugasse, rimarrà per sempre cosí, non lo puoi cancellare.
In questo caso nemmeno con un’ulteriore colata di cemento.
E le persone che erano con te forse non si ricorderanno molto, ma di quando hai preso il Freesbee in faccia se ne ricorderanno. Come anche di quando inseguivi la tua cotta in modo goffo e per niente discreto.
Per dirlo in parole povere: verba volant, le figure dimmerda invece manent.
Questa sensazione è la stessa identica che mi coglie quando vado a rileggere le cose che ho scritto qualche tempo fa.
E con qualche tempo intendo anche solo 3 o 4 anni fa.
Mi imbarazzo.
Perché, parliamoci chiaro, leggendole a distanza di tempo e con uno sguardo oggettivo, mi rendo conto che molte FANNO VERAMENTE CAGARE.
Giuro che non lo sto dicendo per farmi compatire.
Ma solo perché effettivamente ho appena avuto una presa di coscienza nei confronti di tutti quei pensieri disordinati.
Ci sono queste cose scritte di fretta e senza correzioni, o con correzioni approssimative e fatte un po’ a caso, senza pensare.
Scritte con l’arroganza di chi crede di sapere cosa sta facendo ma in realtà non ha capito niente.
Probabilmente erano anche cose scritte per l’estremo bisogno di farlo.
Ma penso comunque che nonostante l’impellenza avrei magari potuto tenerle per me, invece che spiattellarle a destra e a manca.
Che comunque mi sarei vergognata pure se le avessi tenute solo per me.
In ogni caso il problema è sempre lo stesso: averlo fatto per il motivo sbagliato. 
Si scrive piú che altro e prima di tutto per sé stessi, l’arte in genere, secondo me, si fa prima di tutto per un bisogno personale, non solo per la necessità di ottenere approvazione dagli altri. Cosa che io facevo forse piú per questo che per altro.
La mia scrittura era una dodicenne cretina che si sentiva grande, ecco.
Quindi adesso, dopo averci litigato e, forse, averci fatto pace, ho deciso di trattarla meglio. Di renderla un po’ piú degna del suo nome e di usarla con piú riguardo. 
E di regalarla agli altri solo perché è una parte importante di me di cui non voglio piú vergognarmi. 
Poi certamente fra qualche anno mi rileggeró e mi faró nuovamente schifo.
Ma almeno sapró che questo schifo l’avró fatto con cognizione di causa e con maggiore cura.
La bellezza non si puó ottenere subito, ma va coltivata e aspettata. Magari un giorno la troveró. 

Fare la Femmina

  

Pochi giorni fa sono andata dalla mia amica estetista a festeggiare il suo compleanno. abbiamo fatto cose che di solito piacciono molto alle ragazze e che le ragazze fanno naturalmente. Tipo: farsi maschere sul viso, mettersi lo smalto, eccetera eccetera.

Una cosa che io amo definire “fare le femmine”.

E che di solito non faccio mai.
Ma non perché non mi piaccia, amo quando la mia amica mi coccola regalandomi trattamenti di bellezza, solo che io semplicemente non sono capace. 
Di solito non mi trucco perché sono troppo pigra per farlo, non vado spesso dal parrucchiere perché mi piace di piú spendere i soldi per altre cose, non porto scarpe col tacco perché non ci so camminare e perché non le trovo cosí belle come dicono che siano (lo so, probabilmente è un grosso problema), non indosso vestiti sexy e che mettono in risalto le mie forme perché ho qualche problema con le mie forme.
E mi hanno pure detto che sono una maschiaccia.
non è che la cosa mi crei problemi, semplicemente non trovo che sia giusto usare questo agettivo come dispregiativo.
Che male c’è a sentirsi Xena invece che Cenerentola? 
E poi, purtroppo, non sono abbastanza maschiaccia da risparmiare i miei soldi che invece, spesso e volentieri, spendo vergognosamente in jeans, magliette e, sopratutto sneakers.
Ecco, quella è una vera e propria malattia.
Ma è un’altra storia.
Il mio piú grosso problema è che sono una femmina che non sa fare la femmina.
Sono troppo goffa per essere una leggiadra principessa vestita di raso e organza, e sono troppo pratica per volteggiare su vertiginosi e scomodissimi tacchi.
Mi sporco quando cucino (anche quando mangio, a volte), mi siedo a terra a gambe incrociate e insulto la gente quando guido. 
Dico parolacce e promuovo il rutto in libertà, preferisco una serata ad ubriacarmi con gli amici, o un concerto per gridare la mia approvazione ai cantanti in mezzo a gente sudata, piuttosto che una cena elegante in un ristorante di lusso o una serata a vedere l’opera. 
Non tengo le unghie lunghe perché mi fa impressione (e sarei bravissima a graffiare continuamente me e gli altri), e non faccio la messa in piega perché mi annoia stare troppo dietro ai miei capelli.
Io per fare la femmina mi devo impegnare. E ogni volta è un po’ una sofferenza. 
Ma se c’è una cosa che ho imparato (soprattutto grazie a Luna Lovegood) è che non è importante se sei strano e nemmeno cosa gli altri pensino di te.
L’importante è essere a proprio agio con sé stessi.
E se questo vuol dire essere una donna un po’ meno femmina del dovuto, ma sí, chissenefrega. 

Principesse? No, grazie.

  

Sapete come sono le favole, no? 

C’era una volta una fanciulla.
La fanciulla aveva un sacco di problemi ed era sola.
A un certo punto, proprio mentre non ce la faceva piú, arriva un principe.
Bonazzo, eroico, ricco e (perché no?) pure un po’ famoso nel reame. prende e la salva.
Cosí la fanciulla, grata al principe di averle salvato la vita, si innamora di lui e lo sposa.
Tiè.
Fine della storia e vissero tutti felici e contenti, rimasero entrambi bellissimi e fecero un sacco di bambini in salute e intelligentissimi.
Le favole sono cosí.
Le favole.
La realtà invece è tutta diversa. Infatti se la vuoi riassumere e raccontare, piú o meno fa cosí.
C’era una volta una fanciulla.
La fanciulla aveva un sacco di cazzi. Problemi da risolvere col mondo e con sé stessa.
A un certo punto, proprio mentre non ce la faceva piú, arriva un principe.
Il principe magari era pure bonazzo e sembrava eroico, peró non era né ricco e né famoso.
Evvabbè, dice la principessa, a me che me frega? Basta che mi salvi! 
Peró non è che va proprio tutto liscio liscio.
Diciamo che a un certo punto la principessa si sente salvata, ma il principe, dalla parte sua, aveva un sacco di problemi e pure bisogno d’aiuto.
E insomma, succedono un sacco di cose nel mezzo, ma poi va a finire che la principessa un sacco di volte salva sé stessa e pure il principe. 
Ecco quello che penso: le favole sono un’invenzione degli uomini per impedire alle fanciulle in difficoltà a credere di farcela da sole.
Era perché non volevano ammettere che chi aveva piú bisogno di essere salvato erano i principi azzurri e le principesse, seppur rosa e leggiadre, erano comunque troppo forti perché lo venissero a sapere dagli altri.
Le principesse leggiadre peró a un certo punto si sono svegliate e hanno scoperto che potevano spostare i macigni anche da sole. E i principi azzurri piangevano da una parte perché avevano bisogno di loro.
E siccome le principesse sono delle fighe pazzesche con due palle grosse cosí (anche se fisiologicamente non è che proprio ce le hanno le palle, peró vabbè), vanno e spaccano tutto e vincono. Quasi sempre. 
L’importante è che sti principi, un poco di aiuto, glielo diano sempre. 
Questo penso.
Poi non voglio fare propaganda femmista o altro. Solo che, oggettivamente, le donne sono spesso piú forti di quanto si possa pensare. Ma è fisiologico. È semplicemente cosí. 

Non sottovalutare mai La Forza

  

Fino a poco tempo fa non avevo mai visto Star Wars per intero.

Lo so, è una cosa assurda, incredibile, irreale e impensabile. Soprattutto detta da me. 
Peró è cosí. (E giuro che col senno di poi mi sento anche molto in colpa per averci messo tanto)
Poi un pomeriggio di fancazzismo totale ci siamo detti «dai, guardiamoci Star Wars», lo dicevamo da una vita, fuori fa freddo e piove, siamo tutti e due malaticci. Mi pareva il momento adatto.
E io, dico la verità, sono sempre stata anche un po’ scettica.
In fondo la storia, vuoi o non vuoi la sei venuta a conoscere per un verso o per l’altro, quantomeno a grandi linee.
E la curiosità di andare fino in fondo non mi era mai venuta. Avevo liquidato sempre tutto con un semplice “meh”. 
E NON SAPEVO NEMMENO MINIMAMENTE QUANTO MI STAVO SBAGLIANDO.
Sí, ero andata a vedere l’episodio 2 al cinema quando uscí. Ma senza aver visto tutti gli altri ci ero rimasta un po’ cosí.
Soprattutto al tempo non avevo ancora sviluppato il mio grande amore per i film dove “se menano”, e con le navi spaziali, e con le armature fiche, e con tutti quegli pziu-pziu tra una scena e l’altra. Ero ancora troppo giovane.
E insomma abbiamo cominciato a guardare tutta la trafila dall’inzio, cioè dall’Episodio 1 che è quello che comincia lo spiegone di come Anakin è diventato Fener, di come i Ribelli si sono divisi dall’Impero, eccetera eccetera.
Per farla breve: mi è partita la róta immediatamente. 
Sono stata del tutto risucchiata nel vortice e non ho potuto smettere finché non sono arrivata alla fine. Ma non del film, eh. Dell’esalogia (si dice cosí?). 
E quando tutto è finito ero lí con le lacrime agli occhi e il fiato mozzo, con lo sguardo che si dilatava in modo spaventoso ad esclamare «DOVE SONO STATA TUTTO QUESTO TEMPO?».
Esatto.
Che non è solo la storia in sé. Non è solo la regia, la scenografia, gli effetti speciali, il trucco, i costumi. 
No. 
Perché tutti gli amanti di Star Wars sanno benissimo che c’è Molto di piú.
Io sono rimasta cosí colpita da tutto quanto che non ho potuto resistere dal tatuarmelo, poco tempo dopo.
E potrebbe essere stata una mossa azzardata, ma certe cose vanno fatte anche senza pensarci troppo.
Soprattutto perché qui stiamo parlando della Forza. Capite? 
La Forza è una delle cose piú belle che mi siano mai potute capitare in tutta la vita.
Da quando ho capito come funzionava, quale era il principio attorno a cui girava tutto, ho capito che la vita intera potrebbe basarsi su questo principio.
Senza esagerare.
Io mi sento un cavaliere Jedi. 
Io so di esserlo, o che per lo meno lo diventeró. E sto lavorando davvero perché il Lato Oscuro resti sempre lontano da me.
Tutti quei principi che ti portano a governare la Forza, sono nient’altro che le basi per vivere una vita migliore.
Pensateci, prima di prendermi per una psicopatica.
La Pazienza, è importante.
La Calma, è importante.
La Determinazione di perseguire un obiettivo.
La volontà di controllare e scoprire i tuoi poteri.
La bontà d’animo, e l’uso di questa bontà verso gli altri.
L’allenamento, strenuo e senza mezze misure per diventare padroni di sé stessi.
La pazienza di non arrendersi mai davanti alle difficoltà.
La disciplina per mantenere l’ordine nella tua vita e raggiungere la Pace.
E tutto questo è difficile. La vita, è difficile, no? 
E questi sono gli strumenti per affrontarla senza farsi sopraffare, senza mai lasciarsi andare al Lato Oscuro.
  
Perché il Lato Oscuro è facile.
Il Lato Oscuro magari ti da’ il potere, ti permette di essere arrabbiato anche senza giustificazione, ti fa sentire figo perché metti i piedi in testa agli altri, il Lato Oscuro ti fa cedere alla depressione, allo sconforto, al caos. E ti fa possedere da questi sentimenti.
Ma poi che cosa ti resta? 
È sbagliato.
Per questo io credo che sia giusto affidarsi alla Forza.
Per questo e per tanti altri motivi, non mi sento cosí aliena quando affermo di essere un’allieva Padawan.
Perché io sto studiando per diventare sempre migliore.
E gli insegnamenti del Maestro Yoda sono sempre con me. 
«c’è Fare o Non Fare. Non c’è provare». Diceva lui.
Per questo rifuggite il Lato Oscuro, e non sottovalutate mai La Forza.
Saprà sempre venirvi in soccorso per aiutarvi anche nei momenti difficili, perché vi farà acquisire poteri che non pensavate di avere, dandovi la giusta direzione.
Credeteci.
E che la Forza sia con voi. 

Nostalgia, Portami Via

  

Fin da quando ero piccola, la mia maestra mi aveva detto che sarebbe stata una vita difficile per me, perché sono una persona sensibile.
La sensibilità è quella brutta cosa che ti porta a percepire tutto in modo un po’ piú profondo di altri e quindi a soffrire di piú e piú in profondità.
Perché uno non è che si puó accontentare di un problema solo, dal primo partono una carovana di cose una attaccata all’altra, che si trascinano dietro una catena di questioni da risolvere, e quasi mai semplici.
Tutto questo, solo per dire che da questa sensibilità puó derivare di tutto, anche una malattia fastidiosa e orribile come la nostalgia.
Da definizione (dell’onorevole dizionario Treccani, quindi mica pizza e fichi): la nostalgia è quello “stato d’animo melanconico, causato dal desiderio di persona lontana (o non più in vita) o di cosa non più posseduta, dal rimpianto di condizioni ormai passate, dall’aspirazione a uno stato diverso dall’attuale che si configura comunque lontano”.
E come se non bastasse, oggi mi è venuta nostalgia dell’adolescenza.
Di quel periodo odiato, sospirato, depresso, devastante e terribile che è l’Adolescenza.
Di quel periodo che, per tutto il tempo che lo vivi, odi con tutto il cuore e l’anima e non vedi l’ora di uscirne.
Ma forse sarà proprio quella capacità di mettere tutto il cuore e l’anima in ogni sentimento, in ogni azione, in ogni frase che mi manca di piú.
Quella sensazione che ogni problema sia insormontabile, che ogni momento sia estremamente significativo, che ogni azione stupida, inutile e spregiudicata sia invece assolutamente indispensabile.
Pensateci. Quando ancora nella vita vi è capitato di sentirvi cosí? 
A me non tanto spesso.
Che poi è il motivo per cui continuo a sentire i Fall Out Boy, credo.
Perché nella mia anima sono sempre stata un po’ Emo, e anche se è una cosa vergognosa, è il momento di fare outing e dirlo, finalmente. 
Mi manca quel periodo della vita in cui pensi di poter morire per la giusta causa, che sia per orgoglio o per una cotta idiota.
Mi manca quella tempesta ormonale che ti coglieva all’improvviso e ti faceva struggere per una cosa insignificante come una canzone o la storia in un libro.
Mi manca sentire che le tue priorità sono la musica, i libri e poco altro.
Adesso sarà la vecchiaia che incombe, sarà il mio lato cinico che ha un po’ preso il sopravvento, sarà null’altro che l’esigenza di tirare su una barriera per difendersi dagli attacchi del mondo che avrebbero potuto davvero uccidermi, ma non mi sento piú cosí.
Non sento piú quelle emozioni cosí forti che ti colpiscono tra testa e cuore e risuonano nello stomaco. O, per lo meno, è raro che io le senta.
Sarà pure che la mia trasformazione in brutta persona è finalmenre conclusa del tutto, probabilmente.
Ma stamattina ho letto questo verso: “sometimes the person that you’d take a bullet for is behind the trigger” e boh, non lo so. Mi sono tornati su una serie di conati di vita che credevo di aver cancellato.
Mi sono sentita un po’ piú inaridita del solito e mi è dispiaciuto. Quando invece la maggior parte delle volte la cosa mi rende fiera, avendo davvero fatto di tutto per imparare a difendermi dai colpi che la vita ha cercato di tirarmi. E si, sono contenta di esserci riuscita.
Ma non mi dispiacerebbe una dose di muretti e pantaloni larghi lasciati indietro a un tempo che sembra essere stato secoli fa.

3, 2, 1 – Trenta!

Oggi mi sento stanca. 

E pensavo a quando ero giovane e avevo sempre voglia di uscire e fare tardi la sera perché «riposeró quando saró vecchia».

Oggi mi pare che la vecchiaia sia già arrivata. Perché tra mal di schiena, gastriti e acciacchi vari, ogni tanto mi devo fermare un attimo per riprendermi e non morire. Mi pare di essere come quei cani che corrono per inseguire il coniglio di peluche e di non arrivare mai, raccomanderei ai giocatori di non scommettere su di me perché sarei sempre l’ultima in classifica.

E mentre sono qui che bevo camomille bollenti per farmi coccole al pancino, invece di stordirmi di alcol ed essere la simpatica ubriaca che divento (quando non bevo il rhum che mi fa venire la sbronza triste), è come se nonostante tutte le corse che faccia, non riesca comunque a raggiungere mai niente, manco lo stronzo coniglio di peluche.

E insomma, devo dire la verità. Io mi consolo con il fatto che comunque continuo a correre. 2 lavori, una casa da mantenere e a cui stare dietro e tutto il resto. Mi basta non fermarmi mai e non avere niente, piuttosto che stare ferma ed essere semplicemente priva di utilità per la mia vita. Questo la maggior parte delle volte.

Perché oggi, con i 30 dietro l’angolo, mi sale anche un pizzico di paranoia.

Fare 30 anni, per me, è come raggiungere una delle temutissime soglie di non ritorno che si devono affrontare nella vita. 

Che poi lo so, eh, alla fine nessuno ti obbliga ad aver conquistato il mondo a una certa età, peró ecco. 

Mi sento come quando ho fatto 25 anni. In una mano avevo una laurea e nient’altro che un buco nero con dentro il mio futuro che mi aspettava minaccioso, e nell’altra un secchio pieno di lacrime piante per la paura. 

Oggi a quasi 30 anni, in mano ho un lavoro al call center e il tentativo di mettere su una piccola attività che non so se decollerà perché il rischio è la morte per fame.

Quando a 20 anni immaginavo che la me 30enne sarebbe stata già sposata felicemente con figlio, cane, nonché scrittrice di successo.

10 anni non sono tanti, ma cambiano un sacco di cose.

Cambiano i tempi, le persone, le vite, gli obiettivi. Cambi tu che ti ritrovi ad essere piú consapevole, e che ti guardi allo specchio e dentro ci vedi la solita cretina nerd e bisognosa di conferme che eri 10 anni prima, solo con piú acciacchi e piú stanchezza addosso.

E poi, anche se non saró mai un Mark Zuckerberg o un Niccoló Ammaniti, so che qualcuno che mi vuole bene lo stesso c’è ancora.

E, perfavore, non abbiatecela con me. Che quando compiró 17 anni per la 13ma volta avró solo bisogno di qualcuno che mi mette una mano sulla spalla, e mi ricorda che non fa niente se non ho conquistato il mondo. Perché quello che mi serve è tutto qua vicino a me, e devo tenerlo bene presente.

Io & il Re

ogni tanto torno a comprendere quale gioia sia scrivere con la penna sulla carta.
sembra troppo ovvio, effettivamente, ma scoprire di nuovo quei gesti che da abituali erano diventanti inconsueti è davvero piacevole come mangiare un cibo che ami.
capita, invece, altre volte, di rendersi conto di aver passato una vita intera senza sapere che c’era qualcosa che avresti sempre potuto amare.
avete presente quando vi innamorate di qualcuno e, ricambiati, vi trovate a dirvi «ma dov’eri stato tutto questo tempo?», ecco. esattamente così.
se però è vera la storia che due persone non possono incontrarsi nemmeno un secondo prima di essere pronte per farlo, allora capisco tutto.
perché se lo stesso principio vale anche per gli scrittori, non ho niente di cui rimproverarmi.
anche se mi fa rabbia lo stesso non aver acquisito certe consapevolezze prima.
perché non è giusto.
ad esempio, prendete la mia adolescenza. è stata piuttosto schifosa.
per colpa di questo, infatti, sono stata costretta a viverla una seconda volta perché tutto quello che mi avrebbe aiutato un tempo, è uscito quando io ero già troppo grande, e io non mi sono persa l’occasione di usare ogni cosa in rigoroso ritardo.
il problema è che se continuo in questo modo, la mia adolescenza potrebbe non finire mai!
tutto questo preambolo, però, rischia di farmi dimenticare cosa realmente avevo intenzione di esprimere. o forse sarebbe meglio dire: di gridare a tutto il mondo con tutto il fiato che ho e che è
IO AMO STEPHEN KING!
ma è meglio andare con ordine.

dicevo che ci sono cose che ho scoperto tardi. queste cose mi avrebbero reso la vita migliore quando ero un’adolescente brutta, depressa e antipatica. un grumo di ormoni e repressione, rabbia e rancore.
dunque, Stephen King è (e sarebbe stato) una di queste.
ma, non so come, né perché, a quei tempi conoscevo così poco il mondo da non sapere nemmeno chi fosse.
poi sono cresciuta un po’, e ho cominciato a sviluppare un modo tutto mio di approcciare alle cose. la mia antipatia ha subito un’evoluzione, tanto che ho cominciato a non fidarmi delle “cose che piacciono a tutti”.
essendo Stephen King una di queste, a meno che una persona del cui giudizio mi fidassi ciecamente, mi avesse detto in quel momento che realmente ne sarebbe valsa la pena, non mi ci sarei mai avvicinata, nemmeno a sentire l’odore.
questa malattia brutta, io ce l’ho ancora oggi.
solo che, poco tempo fa, è successa una cosa molto strana.
sono entrata in una Feltrinelli perché volevo un libro in particolare ma poi, girando senza una meta precisa tra gli scaffali, con già il mio bel libro in mano, sono stata attratta dal disegno di una copertina. il titolo, in lettere evanescenti, recitava Doctor Sleep. io non mi fido mai nemmeno della copertina. l’autore era quel King di cui tutto il mondo parla. ma avendo molta simpatia per i personaggi del genere “Dottore”, ho aperto il libro e mi sono concessa di leggere la quarta di copertina. «e vabbè» mi sono detta «diamogli una possibilità».
è successo tutto in un momento. ho sentito un rumore, come uno strappo insieme a un risucchio. e poi ho capito due cose: intanto che il rumore era solo nella mia testa, e poi che era giunto il momento.
il momento in cui quell’autore così mainstream avrebbe dovuto fare il suo ingresso nella mia vita.
quindi l’ho fatto, anche se avevo paura. ho comprato l’edizione hard cover, quella che costa di più, completamente alla cieca, e ho iniziato a leggere.

le prime 50 pagine mi hanno fatto sentire incredibilmente depressa e, da brava vecchiaccia scorbutica, ho subito gridato all’errore: «King, maledetto figlio di puttana, mi hai fregato», ho detto a me stessa. ma, da brava signora anziana, so anche che la prima impressione potrebbe non essere rilevante, sentivo di dover continuare a leggere, perciò ho continuato. ed è giunta.
conoscete quel termine che si chiama epifania? l’immediata e fulminea consapevolezza di quella che, soggettivamente, potrebbe essere un’assoluta verità?
come un improvviso risveglio da un torpore infinito. come Neo che viene staccato da Matrix e scopre che ci sono campi sterminati dove gli esseri umani non nascono: vengono coltivati.
ecco, così. ma anche molto di più.
ho divorato il libro. mi sono fatta assorbire completamente. e più leggevo, più milioni di sensazioni mi scuotevano.
so che pare esagerato. ma è tutto vero.
e alla fine ho provato quel meraviglioso sentimento per cui ci si rende conto di aver trovato un nuovo, immenso, amore letterario al quale poter essere fedele per sempre. un autore che ti spingerà a leggere tutti i suoi lavori, ed in questo caso è ancora meglio di quanto potrebbe essere perché i suoi libri sono TANTI!

non riesco a spiegare quale sia la mia felicità in merito a tutto questo.
ed è tanta che mi fa quasi dimenticare quale adolescente inutile io sia stata.
e posso seriamente affermare ora, al terzo libri di King che comincio, che è reale: lui è davvero IL RE. assoluto e incontrastato.
e che sono fiera, nella mia totale nerditudine, dal profondo della seconda adolescenza che continuo a vivere, di poter entrare a far parte della schiera dei Constant Readers.
è bellissimo.
e questa parola non è neanche lontanamente vicina a descrivere quello che provo.
bisognerebbe essere all’interno della mia testa per comprendere sul serio.
ma so che la mia testa potrebbe non è essere un luogo così piacevole per chi non ci è abituato.